Into the void
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Il sorgo (Sorghum vulgare Pers, sin. Sorghum bicolor L. Moench), detto anche saggina, è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle graminacee (Poaceae).Nella stagione invernale e quando il lavoro dei campi non era possibile, i nostri saggi predecessori si dedicavano a molti altri indispensabili lavori. Ogni famiglia era quasi autosufficiente e si ricorreva agli artigiani solo se indispensabile.Sino al primo dopoguerra, nella stagione invernale, tutti si adoperavano con ingegno e laboriosità alla manutenzione della casa, alla cura degli animali domestici, alla macellazione del maiale, alla preparazione di insaccati,  alla filatura e tessitura della lana, del lino e della canapa.Quando non esistevano negozi e centri commerciali, la Natura offriva (ed offre!) la materia prima per costruire ogni genere di suppellettile.  In particolare, i nostri nonni avevano una conoscenza profonda delle specie vegetali e dei loro migliori utilizzi. Grandissima era anche l’abilità manuale con cui realizzavano, con il semplice intreccio di rami, vere e proprie opere d’arte, pratiche e durevoli nel tempo.La stagione fredda era anche il periodo in cui si riparavano gli attrezzi agricoli e si costruivano gli oggetti domestici. In riferimento a questi ultimi, in particolare, molto comune era la realizzazione di cesti, ramazze e scope di saggina.La scopa da esterno, la ramazza, in Abruzzo meridionale si realizza prevalentemente con rami di sanguinello (Cornus sanguinea), con varie specie di ginestra (Spartium junceum, Cytisus scoparius) o con altri arbusti molto resistenti. In provincia di Teramo e nell’aquilano, le ramazze venivano realizzate soprattuto con l’erica (Erica arborea, Erica scoparia), arbusto assai durevole, presente sui Monti della Laga.Il manico veniva realizzato con legno resistente e leggero, specialmente con il Salice (Salix sp).Scope (la granàre), scopini (lu pennàcchie) e spazzole si fabbricavano con una varietà di sorgo, coltivata esclusivamente a questo scopo: la saggina (Sorghum vulgare var. technicum). Esistono anche altre varietà di sorgo, coltivate per l’alimentazione (soprattutto in Africa) e come foraggio per il bestiame.In Abruzzo meridionale e in Molise la saggina è chiamata mìjie o miliacce (migliaccio), per antica confusione con il miglio, specie coltivata a scopi alimentari sin dalla Preistoria.Lo scopino di saggina, disponibile oggi anche in commercio come prodotto semi-artigianale, è utilizzato in particolare per spazzolare la cenere del caminetto. Si realizza unendo un mazzetto di resistenti ramoscelli di saggina, raccolti in estate, essiccati a testa in giù e legati strettamente con i vimini (i giovani getti di Salice da vimini) o con fusti di giunco (Juncus spp). Il giunco, pianta spontanea presso stagni e corsi d’acqua, è un’ altra specie estremamente utilizzata, sino ad un recente passato, soprattutto per la realizzazione delle fruscelle (o fuscelle, nel Lazio meridionale), caratteristici canestrini abruzzesi utilizzati come contenitori per il formaggio e la ricotta.La scopa tradizionale,  si realizzava con lo stesso sistema dello scopino, assemblando con grande abilità 3 o 4 mazzetti di saggina, a seconda della grandezza desiderata. La scopa in saggina viene associata alle streghe, la cui tipica immagine è a cavallo di una scopa volante. Secondo una leggenda, se una scopa in saggina è posizionata di traverso all’uscita di un ambiente,  la strega dovrà contare ogni singolo filo di saggina della scopa prima di poter abbandonare l’abitazione.Molto tempo e buona tecnica richiedeva la fabbricazione di sedie, cesti, canestri e basti per animali da soma. A questi argomenti dedicheremo apposito articolo.Anche se la tradizione dell’intreccio, per fortuna, non è ancora del tutto perduta, al giorno d’oggi solo pochi maestri conservano la tradizione di costruire questi oggetti. Sarebbe davvero auspicabile riscoprire l’importanza della manualità e imparare la tecnica per realizzare questi oggetti. Magari attraverso un corso e percorsi didattici nelle scuole, a beneficio delle future generazioni.
Il sorgo (Sorghum vulgare Pers, sin. Sorghum bicolor L. Moench), detto anche saggina, è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle graminacee (Poaceae).Nella stagione invernale e quando il lavoro dei campi non era possibile, i nostri saggi predecessori si dedicavano a molti altri indispensabili lavori. Ogni famiglia era quasi autosufficiente e si ricorreva agli artigiani solo se indispensabile.Sino al primo dopoguerra, nella stagione invernale, tutti si adoperavano con ingegno e laboriosità alla manutenzione della casa, alla cura degli animali domestici, alla macellazione del maiale, alla preparazione di insaccati, alla filatura e tessitura della lana, del lino e della canapa.Quando non esistevano negozi e centri commerciali, la Natura offriva (ed offre!) la materia prima per costruire ogni genere di suppellettile. In particolare, i nostri nonni avevano una conoscenza profonda delle specie vegetali e dei loro migliori utilizzi. Grandissima era anche l’abilità manuale con cui realizzavano, con il semplice intreccio di rami, vere e proprie opere d’arte, pratiche e durevoli nel tempo.La stagione fredda era anche il periodo in cui si riparavano gli attrezzi agricoli e si costruivano gli oggetti domestici. In riferimento a questi ultimi, in particolare, molto comune era la realizzazione di cesti, ramazze e scope di saggina.La scopa da esterno, la ramazza, in Abruzzo meridionale si realizza prevalentemente con rami di sanguinello (Cornus sanguinea), con varie specie di ginestra (Spartium junceum, Cytisus scoparius) o con altri arbusti molto resistenti. In provincia di Teramo e nell’aquilano, le ramazze venivano realizzate soprattuto con l’erica (Erica arborea, Erica scoparia), arbusto assai durevole, presente sui Monti della Laga.Il manico veniva realizzato con legno resistente e leggero, specialmente con il Salice (Salix sp).Scope (la granàre), scopini (lu pennàcchie) e spazzole si fabbricavano con una varietà di sorgo, coltivata esclusivamente a questo scopo: la saggina (Sorghum vulgare var. technicum). Esistono anche altre varietà di sorgo, coltivate per l’alimentazione (soprattutto in Africa) e come foraggio per il bestiame.In Abruzzo meridionale e in Molise la saggina è chiamata mìjie o miliacce (migliaccio), per antica confusione con il miglio, specie coltivata a scopi alimentari sin dalla Preistoria.Lo scopino di saggina, disponibile oggi anche in commercio come prodotto semi-artigianale, è utilizzato in particolare per spazzolare la cenere del caminetto. Si realizza unendo un mazzetto di resistenti ramoscelli di saggina, raccolti in estate, essiccati a testa in giù e legati strettamente con i vimini (i giovani getti di Salice da vimini) o con fusti di giunco (Juncus spp). Il giunco, pianta spontanea presso stagni e corsi d’acqua, è un’ altra specie estremamente utilizzata, sino ad un recente passato, soprattutto per la realizzazione delle fruscelle (o fuscelle, nel Lazio meridionale), caratteristici canestrini abruzzesi utilizzati come contenitori per il formaggio e la ricotta.La scopa tradizionale, si realizzava con lo stesso sistema dello scopino, assemblando con grande abilità 3 o 4 mazzetti di saggina, a seconda della grandezza desiderata. La scopa in saggina viene associata alle streghe, la cui tipica immagine è a cavallo di una scopa volante. Secondo una leggenda, se una scopa in saggina è posizionata di traverso all’uscita di un ambiente, la strega dovrà contare ogni singolo filo di saggina della scopa prima di poter abbandonare l’abitazione.Molto tempo e buona tecnica richiedeva la fabbricazione di sedie, cesti, canestri e basti per animali da soma. A questi argomenti dedicheremo apposito articolo.Anche se la tradizione dell’intreccio, per fortuna, non è ancora del tutto perduta, al giorno d’oggi solo pochi maestri conservano la tradizione di costruire questi oggetti. Sarebbe davvero auspicabile riscoprire l’importanza della manualità e imparare la tecnica per realizzare questi oggetti. Magari attraverso un corso e percorsi didattici nelle scuole, a beneficio delle future generazioni.
Il salto
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A man cooking artichokes in the streets of the Catania market.  It looks like a ghost among the flames of the underworld.
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La tela - The web
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Live in a roller coaster
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Battaglia volante
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Il vecchio e il mare
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